Durante l’epoca della conquista, la religione
cattolica venne imposta con la forza e gli innumerevoli dei pagani vennero sostituiti
dai Santi dei Cristiani.
Nacque così un sincretismo religioso che sopravvive
tuttora e che, anzi, sta prendendo sempre più piede nella società d’oggi.
Due esempi per tutti: il culto di Maximon, o di San
Simòn, Dio Maya rivestito da panni europei per sottrarlo alla distruzione da
parte degli spagnoli, che
di quello del rifiorire dei culti tradizionali
collegati alle antiche credenze maya.
L’appuntamento era presso un edificio dedicato a
Maximon, dove avremmo assistito ad una benedizione impartita a dei malati da
parte di una sacerdotessa curatrice. Il luogo ricordava più un’autorimessa
circondata da misere casupole dove venivano vendute, oltre a generi di prima
necessità, mazzetti di erbe considerate curative e si buon auspicio. La gente,
prima di entrare nel cortile, comprava codesti talismani e poi si metteva in
fila in attesa di transitare di fronte alla santona che stava su di un
pianerottolo elevato rispetto alla fila dei postulanti. Le pareti del “tempio”
erano letteralmente coperti da effigi sacre di ogni genere e di ogni religione,
in un guazzabuglio incredibile. Una tale confusione di effigi religiose le
avevo già viste a Singapore in un tempio taoista. Alla mia richiesta di
spiegazioni mi era stato detto che questo era per onorare ogni divinità poiché,
non sapendo esattamente quella che effettivamente “regnava” nell’aldilà, era
saggio averla pregata ameno una volta!!
Comunque le nostre eroine, armate di mazzetto odoroso
e di buona volontà, si misero in fila in attesa di una benedizione che avrebbe
sanato loro sia l’anima che il corpo…
Quando un fedele si presentava davanti alla
sacerdotessa veniva nebulizzato da un liquore dolciastro che lei, prima
ingurgitava, poi spruzzava sul malcapitato, facendolo passare per una fessura
tra i denti davanti, questo non una ma più volte, secondo la malattia
dell’orante. La continua assunzione di liquore provocava nella sciamana un
evidente stato di “euforia alcolica” che si manifestava nella difficoltà di
mantenersi salda sulle gambe, creando buffe piroette della medesima.
La prima a defilarsi fu la sciura che decise di uscire
a gambe levate, seguita subito dalle sabaude dame orripilante da tale “doccia”
sacra. Sul sagrato vennero accolte da indios che per voto avevano fatto un
lungo percorso in ginocchio e che lasciavano dietro loro una lunga scia di
sangue…
Nel nostro programma erano statr fissate tre cerimonie
maya, una a Iximchè, una sul lago Atitlàn e una a Tikal,
Iximchè è un sito archeologico molto bello tra Antigua
e il lago Atitlàn, ultima capitale di un regno maya indipendente prima della
definitiva creazione del vicereame del Guatemala. Il tempo non prometteva nulla
di buono fu così che due nonnine decisero di equipaggiarsi al meglio in caso di
pioggia…dalle loro valigie uscirono k.way, piumini, cappelli impermeabili,
maglioni, guanti, sciarpe e ombrelli, il necessario insomma per una spedizione
artica! Credo che il borsone di Mary Poppins, in confronto ai loro zainetti,
avrebbe fatto una magrissima figura!
L’arrivo delle due, ormai trasformate in omine
Michelin, provocò nel resto della compagnia un coro di “sceme, sceme” che
fecero sobbalzare le raminghe anime che si aggiravano in quella città perduta.
Fu lì che, davanti alle prime piramidi, si fece largo, nelle menti perverse
delle ottuagenarie, l’idea della scalata…ma questo sarà materia di un’altra
puntata.
Torniamo alla nostra cerimonia: in fondo al sito, dove
si incontra una delle tre scarpate che delimitavano la città e che ne
costituivano anche difesa, al riparo da occhi indiscreti, sorge un tumulo
coperto da offerte votive, meta ideale di torme di cani randagi che qui trovano
di cui cibarsi, sostavano tre gruppetti di persone in preghiera davanti a dei
falò. La nostra guida spirituale, uno sciamano che aveva immediatamente colpito
le nostre eroine per prestanza fisica e per l’aspetto altero e misterioso, ci
spiegò a sommi capi come si sarebbe svolta la cerimonia propiziatrice. Intanto
venne acceso un fuoco con materiali resinosi, al quale vennero aggiunte offerte
di vario tipo, poi estrasse una serie di candeline di vario colore, ognuna
delle quali propiziava un determinato desiderio. Esse dovevano essere gettate
tra le fiamme ad un preciso ordine dell’officiante.
Fin qui tutto bene, tranne l’odore pungente e il
calore quasi insopportabile, finchè, vicino a noi non giunsero delle persone
guidate da una donna che portava un gallo ed una gallina,,,
Come ci venne spiegato in seguito, si stava svolgendo
una cerimonia di magia nera tesa a ridare la fertilità alla ragazza, persa, a
suo dire, a causa di un malocchio. Immaginate l’orrore delle nostre eroine
all’assistere , in diretta, alla decapitazione e al seguente incenerimento
delle povere bestiole! Il sangue venne fatto colare sul tumulo di offerte, poi,
dopo le invocazioni di rito, le carcasse vennero anch’esse deposte sulla sacra
pira e bruciate. Chiudete gli occhi e immaginate la scena: eravamo
letteralmente tra due fuochi, cotti a puntino davanti e dietro e, a secondo
dove spirava il vento, investiti o da un odore composto da erbe aromatiche e
candele di paraffina o, al contrario, da un olezzo nauseabondo di penne e carne
bruciata…il tutto senza la possibilità di abbandonare il luogo pena gravissime
sventure!
Per combattere la nausea, dalle capaci borse delle
amazzoni uscirono le famose ampolle di Acqua di Colonia, tanto care alle donne
di inizio Novecento e ormai soppiantate da decine di essenze dai nomi esotici e
dai costi proibitivi. Dopo innumerevoli invocazioni agli antenati, alle
divinità del Cielo, della Terra e degli Inferi, la cerimonia ebbe termine.
Tutti noi, cotti a puntino e puzzolenti da far schifo, ci allontanammo da
quell’ara sacrificale e ci dirigemmo, quasi di corsa, verso il bagno più vicino
nella vana ricerca di una fonte d’acqua purificatrice.
Fine II parte
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