venerdì 14 gennaio 2011

IL TACCUINO DI EUSEBIO

Pensieri di viaggio  (27 dicembre 2010-3 gennaio 2011) 



 
Il deserto di Giuda ti ingoia quando lasci Gerusalemme e ti dirigi in autobus verso la Giordania. Qui inizia il viaggio dei viaggi. Qui hai la conferma che viaggiare non significa vedere luoghi mai visti. Ma più semplicemente ritrovare i luoghi che ti portavi dentro da sempre, e che non avresti mai creduto di ritrovare per davvero. Il deserto di Giuda. Lo hai già attraversato tante volte dentro di te. Quando eri piccolo e gli altri bambini non ti volevano a giocare. Quando hanno dovuto spiegarti che quello zio che amavi come un padre non sarebbe tornato dall’ospedale. Quando hai avuto la prima delusione d’amore, un dolore senza spiegazioni, una roba troppo da adulti per te che sei ancora piccolo. Quando hai fatto la prima vigliaccata e ti sei fatto schifo da solo. Quando hai perso il lavoro e sei tornato a casa a spiegarlo alla tua famiglia. Quando la malattia si è accanita proprio su di te, che ti credevi indistruttibile, e ti ha piegato. Anche allora eri nel deserto di Giuda. E adesso questo luogo ti è familiare. Un deserto di pietra rovente, diverso dal Sahara tunisino, che pure hai amato tanto, e che vorresti un giorno rivedere. Il deserto di sabbia è un teatro, che il vento rimodella continuamente, come un mare che non potrà essere mai. Il deserto di Giuda é la pietra che si annida nelle pieghe della tua anima. Non credo al concetto di pellegrinaggio. Sono troppo povero di spirito. Sono partito per una vacanza con mia moglie e le mie due figlie. Ma nel deserto di Giuda, incanto di geometrica indifferenza, ho iniziato un percorso diverso. Un viaggio interiore.
Ponte Allenby. Qui è la frontiera fra Israele e Giordania. Un luogo sospeso nel nulla. Giovani armati dalle parti opposte si parlano come vicini di scrivania. Forza dell’abitudine. I rapporti fra i due Paesi sono eccellenti. La pace firmata nel 1986 fra re Hussein di Giordania e il premier israeliano Rabin ha reso possibile la “rinascita” della Giordania, che scopre così il benessere del turismo di massa. Tutto tranquillo. Al duty free shop puoi comprare sigarette, profumi, cioccolata, immagini sacre ai cristiani, riproduzioni di pagine della bibbia in ebraico ma anche oggetti legati alla fede islamica. Il sincretismo religioso passa attraverso il libero mercato. E va bene così. Una tavoletta di Toblerone non ha mai ammazzato nessuno.

Sul monte Nebo. Da qui, secondo la tradizione, Mosè vede la Terra Promessa prima di morire (la vede, ma non ci arriverà mai perché il suo dio così lo punisce). Il gigante Mosè così vicino alle nostre miserie. Sono credente, ma sono un pessimo cattolico. La vicenda di Mosè non mi avvicina alla Scrittura. Mi riporta in mente la poesia di Garcia Lorca “Cordoba, lontana e sola. Cavallina nera, grande luna e olive nella mia bisaccia. Pur conoscendo le strade, mai più giungerò a Cordoba.” Anche il tenente Drogo, nel Deserto dei Tartari di Dino Buzzati, sente arrivare i tartari aspettati tutta la vita, ma muore (consumato dall’attesa) un istante prima della battaglia. Così nell’Autunno del patriarca, di Garcia Marquez, la morte entra nella stanza del Patriarca e lo chiama Nicanor. Ma io non mi chiamo così, risponde il dittatore. E la morte: c’è un momento in cui, per me, tutti si chiamano alla stesso modo, Nicanor. Quante e quante volte, ognuno di noi è salito sul suo monte Nebo, nel deserto dei tartari, vicino a Cordoba? Dal Monte Nebo si vede la misteriosa pietraia del deserto di Giuda a perdita d’occhio. Fra questi sassi, fra questi sterpi, in questo vento gelato il messaggio. Sei arrivato quassù ma non sei da nessuna parte. Intorno a te il deserto di Giuda che ti porti dentro. Cordoba, lontana e sola.

Petra, la città rossa. Siamo tutti dietro all’instancabile Guido, fisico massiccio, barba bianca ad incorniciare il viso abbronzato, occhi azzurri profondi. Lo chiamo per scherzo “sergente nella neve” ricordando gli alpini protagonisti dello splendido libro di Mario Rigoni Stern. Guarda caso anche Guido era un sergente degli alpini. Alla forza del personaggio unisce una cultura profonda (parla sei lingue, fra cui arabo ed ebraico), che snocciola con naturalezza, come se raccontasse una favola. Con lui camminiamo almeno dieci chilometri, fra andata e ritorno, nell’immensa necropoli giordana. Accanto alle spettacolari vestigia archeologiche trovi molti mercatini e tende ospitalità. La gente del posto è gentile. Mi spiegano che per i beduini l’ospitalità è sacra. Beviamo tè alla menta. Il percorso di ritorno le mie figlie lo fanno a cavallo. Io resto sottobraccio con mia moglie. Fin dai tempi dell’università lei sognava di vedere Petra, con i sui resti arabi e romani. Uno spettacolo emozionante, reso ancora più unico dalla gente del posto. A Petra entri in contatto con ritmi lentissimi. Con modelli di vita perduti millenni addietro. Entri per interesse culturale. Esci più sereno e più ricco.

A Gerusalemme arriviamo un tardo pomeriggio con il cielo coperto. Ironia della sorte, nel luogo dove Giuda tradisce Cristo, mi aspetta Giorgio, grande intellettuale cattolico e mio amico dai tempi del liceo. Non gli è mai mancato il senso del ridicolo, neppure quando ha affrontato un’operazione che doveva ridurlo su una sedia a rotelle. E invece è uscito sulle sue gambe. Abbiamo riso. Ho scherzato sulle sue amicizie “in alto”… Giorgio ci porta nella città vecchia. Dice di conoscere meglio Gerusalemme di Torino, sua città natale, ed è vero. Andiamo subito al Muro Occidentale (per favore, non chiamatelo più “muro del pianto”, è una definizione di scherno per gli ebrei che è resistita misteriosamente all’evoluzione della nostra  lingua). Gli chiedo, io che frequento le chiese solo mentre non c’è la messa, se posso pregare al muro. Sì, è permesso. Appoggio la mano al muro e mi raccolgo qualche minuto. Guardo intorno a me i rabbini e gli ortodossi, con i loro abbigliamenti particolari. Dietro il Muro, la Moschea della Roccia. Ognuno prega il suo dio. E se all’unico Dio piace ridere di noi, in questo momento ha gli occhi chiusi. Però ascolta tutti i figli di Abramo pregare, sperare, promettere, maledire in tutte queste lingue diverse. Uno sciame di voci si alza nella sera.

La Via Dolorosa attraversa la città vecchia e arriva al Santo Sepolcro. E’ la strada percorsa da Cristo che portava la croce. Fra mercatini e luoghi di preghiera attraversi il cure coloratissimo di Gerusalemme vecchia. Sicuramente una delle città più affascinanti e coinvolgenti che abbiate mai visto. Il colore lo fanno le persone, le voci, i banchi di frutta spettacolare, i banchi di spezie meravigliosi, gli argenti beduini i tappeti ed i tessuti di ogni genere. Quasi dovunque il profumo irresistibile del pane arabo fresco (cioè caldo: favoloso, provare per credere). Torneremo sulla Via Dolorosa quasi tutti i giorni. E’ uno spettacolo indimenticabile.

Al Santo Sepolcro arriviamo in un pomeriggio (l’unico, a dire il vero) di pioggia torrenziale e di vento fortissimo. Attraversi il cortile in pietra ed entri nella basilica, tenuta da preti ortodossi. Sul Sepolcro hanno costruito una cripta. Qualche minuto di coda. Poi entro nella minuscola grotta, con mia moglie e le mie figlie. Dal punto di vista religioso a queste due ragazze non ho dato nulla. E’ ovvio. Non puoi donare quel che non hai. E quindi, in questo senso, non ho mai chiesto loro nulla. Alla luce fioca delle candele, davanti alla pietra, ci inginocchiamo. Chiedo a loro di darci la mano e chiedo di raccoglierci qualche minuto per un pensiero. Non oso dire preghiera. Anche perché io non prego mai, mi limito a comunicare. Gli parlo, pensando che sarebbe bello se ci fosse e mi ascoltasse. Nel luogo del Dolore, che però è anche il luogo della Resurrezione, rendo grazie con un pensiero e Gli offro i miei (molti, troppi?) affanni. La pietra, quella Pietra, mi trasmette un’energia particolare. E’ come fosse pietra viva. Esco con gli occhi gonfi. Mia moglie volta la testa da me. Capisco che è commossa anche lei. Così faceva anche da ragazza. Si girava. Una forma di estremo e delicato pudore che mi ha sempre colpito. Non lascio la mano né a lei, né alle mie figlie. Credo che quella pietra, la Pietra, sarà per sempre in noi quattro. La potenza del santo Sepolcro, il suo terribile segreto è questo: se vuoi, se lo desideri, se ci credi, se ne hai bisogno, lo porti via con te. E la Pietra vive in te.

 
La Rocca di Masada ti aspetta fra il deserto di Giuda e il Mar Morto. Una giornata perfetta, calda, azzurra e di vento caldo. Saliamo in funivia per qualche centinaio di metri. Lo spettacolo è emozionante. Il colpo d’occhio dà realmente la sensazione dell’infinito. La rocca conserva i resti di una lussuosa reggia del re Erode. Qui, dopo l’anno 70, gli Zeloti resistono eroicamente alle legioni romane per due anni. Alla vigilia della sconfitta, per non cadere in prigionia, estraggono a sorte i nomi di alcuni soldati con il compito di uccidere tutti e poi di suicidarsi. Per questa eroica resistenza, Masada è diventata il simbolo di Israele di lottare e di non soccombere. Appena arrivi qui, senti subito che Masada ti appartiene. Se anche tu sei abituato a lottare, se anche tu non cadi prigioniero del nemico, anche qui c’è qualcosa di tuo. Anche questo è un luogo dell’anima. Qui sono anche io uno zelota. Come sono un soldato greco alle Termopili, un carabiniere ad El Alamein, un ebreo nel ghetto di Varsavia, un negro nel ghetto di Soweto, uno studente in piazza Tien An Men. <<Soldati, questo giorno sarà vostro per sempre>>, disse Leonida ai suoi prima della battaglia. Ogni giorno è nostro per sempre se viviamo con forza. Senza cedere. Senza arrenderci. Senza abbassare lo sguardo. Senza paura. Così vicini al cielo. A Masada per sempre.

Il muro di cemento, altissimo e grigio, come questa giornata così triste, ti separa da Betlemme. Sull’autobus sale un soldato israeliano per un controllo di routine. E’ un ragazzino con la barba incolta. Il suo viso stravolto, la maschera di una lotta che non avrà mai fine. Betlemme è in Cisgiordania, nei territori  amministrati dall’Autorità Palestinese. Visitiamo la Basilica della Natività, costruita dagli ortodossi sulla grotta dove è nato Cristo. La grotta, microscopica, è oggi coperta da un altare maestoso. Anche qui, come al Sepolcro, l’aria è luminosa, accesa da una presenza fortissima. Il mistero della nascita e il mistero della morte. In mezzo il mistero della vita. Non posso fare a meno di guardare le mie figlie. Dice il poeta indiano Tagore che i figli non ti appartengono. Sono le frecce che, con l’arco della vita, lanci lontano. Ne segui la traiettoria ma non la dirigi. Nella Grotta ripenso alla notte in cui ho visto nascere Irene, 16 anni, la maggiore. E all’alba in cui ho conosciuto Sofia, 9 anni. Sono blasfemo a pensarci adesso? Non siamo ridicoli. Tutti i nostri dolori, tutte le nostre miserie ed i nostri affanni sono una bestemmia continua, un chiamare il Dio vivente con rabbia accanto a noi. La Rivelazione non è nella grotta, ma dentro di te. La Grotta ti appartiene. La vita degli altri no. Che cosa indicava la cometa? Forse la traiettoria della freccia. Il Figlio lanciato verso la vita. Pranzo da favola in un ristorante arabo tipico. Mangio di tutto. Fumo il narghilè. Poi a messa, per la prima volta da anni e anni. Don Antonio officia al Campo dei Pastori. Vangelo intenso e spiegato con sintesi ed intelligenza. Don Antonio. Magari quando torno in Italia gli vado a parlare.

Gerico. Giornata di sole perfetto e caldissimo. Anche qui siamo nei territori, ma sotto l’autorità di Israele. Giorgio mi spiega che il Paese è tutto a macchia di leopardo, con territori divisi in mano ad autorità volta per volta diverse. E’ questa la condanna di Babele? Forse no, ma gli assomiglia molto. Su molte case, ci fa vedere Giorgio, sventola la bandiera verde di Hamas, il partito palestinese irriducibile, che rifiuta il dialogo con Israele. Vedo povere case basse, sporche e diroccate. Scarichi a cielo aperto. Bambini seminudi che giocano nell’immondizia. Qui le bandiere di Hamas. A Masada la bandiera con la stella di Davide. E’ giusto credere in qualcosa e battersi per difenderla. E’ sbagliato nascondersi dietro una bandiera. Qui capisci che la miseria e la sofferenza degli altri possono diventare un business per chi le gestisce. Non rompe gli equilibri politici un’azione terroristica. Ma un ospedale costruito dove serve. Ecco perché spesso con gli aiuti economici si comprano armi. Perché la violenza e la miseria sono vasi comunicanti. La miseria, lo stato di assoluta necessità, permette un controllo diretto della gente. Il benessere allontana la violenza. Penso alla Giordania. E’ distante pochi chilometri, ma sembra essere su un altro pianeta. Ci fermiamo al mercato della frutta. Giorgio conosce tutti. Compriamo datteri spettacolari, spezie incredibili  e frutta secca di ogni genere.

Gerusalemme, ultimo giorno: Yad Vashem. Tradotto dall’ebraico “la potenza del nome”. Si chiama così il museo dello sterminio, meglio noto come Memoriale dell’Olocausto, nella parte nuova di Gerusalemme, accanto al Parlamento. Qui sei nel cuore dello stato di Israele. Lo capisci dalla costruzione solenne, in nudo cemento armato, contenitore dell’orrore inenarrabile. La costruzione museale è impeccabile e avvincente per la qualità del materiale esposto, soprattutto filmati e fotografie. Quello che sconvolge maggiormente, per assurdo, sono gli oggetti. Esattamente come quando ti muore una persona cara, e tu resti con in mano una sua cosa. Ebbene qui il silenzio si riempie delle urla sorde delle cose. Un orologio. Un paio di occhiali. Una penna. E giocattoli, giocattoli. Guardo le mie figlie. Ho il cuore in gola. Mia moglie, bianchissima, mi stringe la mano molto forte. Siamo muti. Urlano gli oggetti. Usciamo in pieno sole. Il giardino dei Giusti fra le Nazioni. Per ogni persona che si è impegnata contro la persecuzione nazista, viene piantato un albero che porta il suo nome. Cerco l’albero dedicato a Giorgio Perlasca, protagonista dell’indimenticabile La banalità del bene di Deaglio. Dal Giardino entri nella parte più terribile dello Yad Vashem. Il Memoriale dei bambini. Passi su un ponticello ed entri in una sfera completamente buia. Al centro una sola candela, che un sapiente gioco di specchi moltiplica milioni e milioni di volte. Una voce sommessa recita il rosario dell’orrore: nome, cognome, età e Paese di provenienza di ogni bimbo ucciso. Cerco di dare un nome ad ogni fiammella. Davanti a me la sagome nere delle mie figlie. Il percorso è circolare, quasi a rincorrere il ciclo dell’esistenza. Sarà cometa una di quelle fiammelle, sarà freccia nella notte, sarà semplicemente una speranza. Guardo le mie figlie, già nel sole, nel Giardino dei Giusti. Mi giro verso mia moglie. Vorrei dirle qualcosa. Ma cosa si può dire davanti all’indicibile? Apro la bocca. Non mi esce nulla. Meglio così. Lei è voltata dall’altra parte, come una volta. Si è accorta che adesso, qui, anche noi due siamo “passati per il camino”.

Uscendo dallo Yad Vashem, dopo avere visto tanti luoghi sacri, il pensiero corre al bel libro del teologo (tedesco) Hans Jonas, Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Jonas bestemmia con dolore e profonda  angoscia: se Dio è onnipotente non è sommo bene, perché ha permesso tutto questo. Se invece è sommo bene non può essere onnipotente, perché tutto questo è stato. Da adolescente irrequieto, la domanda mi ha sempre tormentato. Adesso, da padre, è anche peggio. Esci di qui e ti rendi conto che il Golgota ha mille nomi. Come l’Onnipotente per gli ebrei. Noi diciamo Golgota. Ma qui suona Birkenau, Treblinka, Mauthausen, Sobibor … Nel bambino continua la nostra vita. Il bambino, che per noi è progetto di continuità, qui è pura luce. E’ la freccia che non ti appartiene. E’ la fiammella che ti brucerà dentro per sempre e che si accende come una lama, un dolore intenso e allucinante, che diventa ancora più forte mentre guardi le tue figlie che escono nel sole. E piano si sciolgono alla vista, perché stai piangendo e non te ne sei accorto. Chiedimi che cosa mi sono portato via per ricordo, dalla terra della Bibbia? Ho portato una fiammella. La fiammella di una candela.

1 commento:

Abbey Travel ha detto...

.... e se il sole dovesse essere oscurato dalle frecce dei persiani, allora si combatterà all'ombra!