
I primi europei che si imbatterono nell’isola di Taiwan furono i portoghesi che, ammaliati dalla bellezza del luogo la chiamarono Ilha formosa, l’isola incantevole.
Dopo di loro arrivarono olandesi, spagnoli, cinesi della terraferma e infine i giapponesi. Tutti rimasero affascinati dalle bellezze naturali del luogo. L’ultima grande e massiccia “invasione” fu quella dei cinesi del Partito Nazionalista, Kuomintang, sconfitto da Mao Zedong.

Nella R.P.C. è stata introdotta una riforma di semplificazione dei caratteri, mentre a Taiwan si scrive ancora in modo tradizionale. Anche nella traslitterazione i due paesi divergono: mentre nel Paese di Mezzo è stato introdotto, fin dagli anni ’50 del secolo scorso, il metodo “pinyin” a Taiwan continuano ad usare i vecchi sistemi Wade-Giles e tong-yong, talvolta mescolati l’uno all’altro con il risultato che lo stesso toponimo traslitterato si trovi scritto in tre modi differenti.
Un esempio banale: una via cittadina può venire traslitterata con PATE, PATEH o BADE a seconda del cartografo che ha compilato la mappa.
Taiwan custodisce gelosamente il retaggio di quello che fu il Celeste Impero, al contrario di quello che succede, e successe sulla terraferma durante la Rivoluzione Culturale.

Vero o falso che sia qui si trovano circa 650.000 pezzi tra giade, bronzi, quadri, statue ma solo 15.000 sono messe in esposizione a rotazione. Il resto di questo tesoro è tenuto in migliaia di casse in gallerie, ove circola aria condizionata, scavate nella montagna alla quale è addossato l’imponente edificio in stile tradizionale.
Quello che agli occhi delle autorità politiche comuniste era apparso come uno dei più grandi saccheggi della storia si è rivelato una fortuna per l’umanità intera perché averli portati a Taiwan li ha messi al riparo dalle distruzioni iconoclaste della Rivoluzione Culturale che tanti
danni irreparabili ha causato al patrimonio culturale cinese.
Pierluigi Bertotti
Nessun commento:
Posta un commento